Tra democrazia ed autoritarismo. Cosa vogliamo essere?

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Come si fa a sostenere che siamo a favore della pace, della democrazia e della non violenza e che quindi gli Ucraini devono arrendersi, perché i Russi sono più forti e quindi vinceranno la guerra?

È una delle domande che si è posto Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali dell’Università Cattolica di Milano, che ha scritto un libro sulla guerra in generale dal titolo Il posto della guerra. Lo zar Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina quasi un anno fa per la seconda volta in meno di un decennio. Si tratta davvero di “operazione speciale” come da lui asserito? Eppure a Bali, durante il G20 di novembre scorso, anche la stessa Russia ha ammesso di fronte alla Comunità internazionale e soprattutto alla Cina, sua grande alleata, che si tratta di una guerra ed ha smesso improvvisamente di minacciare l’uso della bomba atomica. Questa invasione e guerra in nome di cosa? Le versioni russe si sono modificate nel tempo: un regime dittatoriale e fascista a Kiev oppure difendere le popolazioni russofone al confine nella regione del Donbass? Rispondere alle provocazioni della NATO sul territorio ucraino oppure riprendersi ciò che i russi avevano perduto? Ma siamo proprio sicuri che gli ucraini siano russi che abitano in un determinato territorio e che entrambi derivino dalla stessa cultura? Partendo dal 1945, solo le democrazie stabili possono garantire la pace e la convivenza civile, nel rispetto della diversità e delle minoranze. Nei sistemi democratici i processi decisionali sono alla luce del sole, vengono illustrati e comunicati all’opinione pubblica e discussi dialetticamente in Parlamento: in tal modo, tali Nazioni abbattono la diffidenza ed il sospetto tra loro. Inoltre, lo stesso mercato ha creato un ambiente più sereno, perché gli altri Stati sono considerati anche partner commerciali (nel 1951 l’Unione Europea nasce proprio come C.E.C.A.). Cosa è successo dopo il 1989? Si è pensato che la dimensione economica del mercato avrebbe indotto alla pace e al rispetto dei confini delle Nazioni i sistemi autoritari, come la Cina e la Federazione russa. Ma ciò non è bastato.
Putin si sente minacciato dalla NATO, dai paesi occidentali democratici; ma dimentica che quei paesi che ora lo circondano sono andati via dal Patto di Varsavia, perché hanno ritenuto, in regimi liberi e democratici, che tale Patto fosse soffocante e che la stessa Russia non fosse attrattiva: Polonia, Estonia, Lituania, Lettonia, Cecoslovacchia (ora divise), Romania, Ungheria e Bulgaria. Ed ora anche la stessa Ucraina.
Tutto ciò ha provocato il conflitto armato. I bombardamenti sui civili, l’abbattimento di strutture fondamentali come le centrali elettriche, la distruzione delle fonti di approvvigionamento alimentare, conseguenze anche di un atteggiamento di appeasement della Comunità internazionale negli anni scorsi (si pensi all’occupazione illecita della Crimea ucraina nel 2014), stanno provocando morti e stragi inutili, per utilizzare un’espressione cara al Vaticano.
E noi ora cosa facciamo? Possiamo sostenere ed appoggiare una nazione invasa, anche inviando armi per la sua difesa? Sarebbe entrare in guerra contro la Russia? Oppure il problema non si porrebbe in relazione all’articolo 2 della Carta di San Francisco dell’ONU che riconosce i diritti di autodifesa di un popolo e di un paese, anche attraverso la forza militare? Il nostro pacifismo in questa situazione ha sfumature: la bandiera appesa ai balconi delle nostre case o issate in luoghi istituzionali cosa significa? Che la Russia smetta la sua operazione bellica oppure che l’Ucraina si arrenda? E se Francia e Gran Bretagna avessero lasciato la Polonia al suo destino dopo il primo settembre 1939, cosa sarebbe successo? Possiamo lasciare gli ucraini alla loro triste sorte? Non ne saremmo colpevoli anche noi? È la politica che determina la geografia: i primi due paesi citati poco sopra a lungo si sono fronteggiati per due regioni miste per lingua e cultura come l’Alsazia e la Lorena; eppure oggi convivono pacificamente, anzi hanno un così stretto rapporto da aver creato nell’Unione europea l’asse franco-tedesco importante e trainante la stessa.
Le domande poste ci aiutino a ricercare, ad informarci e a dialogare, anche dialetticamente, perché è così che funziona una democrazia. Perché nella democrazia vive la verità, anche quando si cerca di nasconderla: a questo serve l’opposizione politica.

L'autore
: prof. Ruggiero Rutigliano

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