Il bene comune: un obiettivo da raggiungere
Le virtù (αρεται, aretai), secondo la concezione socratica-sofistica, sono le caratteristiche migliori proprie degli esseri viventi. Il pregio di noi uomini può essere la mente, o meglio, la nostra capacità di pensare, di riflettere.
Ci sono esempi a iosa di chi ha saputo sfruttare il pensiero e la razionalità per il bene comune. Tra questi vi sono ovviamente i filosofi, ma anche l’eroe per eccellenza: Odisseo. Vi chiederete sicuramente come possano essere correlati. Ebbene, essi lo sono in senso astratto: i filosofi hanno usato la “ratio” per analizzare i problemi morali ed etici che viviamo noi tutti, Ulisse, invece, ha sfruttato “l’ingenium” per il bene di sé e della sua patria; d’altronde lui è πολύτροπος (polytropos, l’uomo dal multiforme ingegno). L’uomo dalle mille astuzie è ancora ricordato come uno tra i pochi in grado di fronteggiare addirittura gli dei grazie al suo intelletto e alla sua caparbietà. Questo è indice di quanto potente e spaventosa sia “la nostra testa”, se accompagnata dalla giusta tempra; al contrario tra tutti i filosofi, Socrate ha iniziato a concentrarsi sull’uomo, in quanto esclusivamente da questo avrebbe potuto apprendere. Per lui il bene si ha quando si è sapienti, ovvero quando ci si rende conto di sapere di non sapere; difatti è celeberrimo il detto: “Sapiente è colui che sa di non sapere (ἀποφανῶν τῷ χρησμῷ ὅτι Οὑτοσὶ ἐμοῦ σοφώτερός ἐστι, σὺ δἐμὲ ἔφησθα, apofanòn to cresmò òti ùtosi emù sofòteròs esti, sÿ demè èfesta)”. Da quanto appena detto, consegue che il male sia fatto dall’ignorante, in quanto non è a conoscenza del bene, perciò non è in grado di compierlo. Dunque c’è da chiedersi: se con la sapienza si arriva al sommo bene, perché non è questo lo scopo ultimo della scuola?
Purtroppo la maggior parte degli studenti studia per l’inutilmente stressante interrogazione e dopo tutto svanirà nel più fugace ed effimero cassetto della nostra mente. Le “colpe” di ciò non vanno esclusivamente alla scuola, un'agenzia formativa che prepara alla futura vita lavorativa, bensì anche a colui che per “lavoro” studia: lo studente. “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” disse Dante, nelle veci di Odisseo nel XXVI canto dell’Inferno della sua Divina Commedia, per dimostrare che l’uomo è stato creato non per vivere come un animale, ma per seguire la conoscenza.
Quando l’uomo si renderà conto di ciò, allora si svilupperà un cambiamento repentino che porterà al bene. Conoscere vuol dire sviluppare una mente poliedrica in grado di apprendere dal passato per non commettere più gli stessi errori e aprire le porte verso un futuro migliore. Socrate, come il suo discepolo Platone, non ha considerato le intenzioni dell’uomo: non è detto che si preferisca il bene per la comunità a discapito del singolo. Perciò, come dice Seneca nel suo “De vita beata”, bisogna perlomeno provare ad avvicinarsi alla virtù, poiché non si potrà essere più virtuosi e soprattutto felici di chi la pratica o prova a farlo.
Emanuele Miracapillo 3C