Cibo nel futuro: quale strada intraprendere?

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La popolazione mondiale aumenterà notevolmente. È ormai una certezza, stando agli ultimissimi studi. Nel 2050, tra soli 26 anni, si prevede che ci sarà un incremento, dagli attuali 7,5 miliardi a 9 miliardi.

È ovvio che tutte queste persone avranno bisogno prima di tutto di nutrirsi, e uno degli obbiettivi dell’Agenda 2030 è proprio quello di garantire a  tutti un’alimentazione sufficiente, sana ed equilibrata. E’ evidente quindi che la produzione di cibo dovrà necessariamente aumentare. 
Alcuni studiosi, ritenendo i metodi produttivi tradizionali molto inquinanti e fortemente impattanti sull’ambiente, stanno ipotizzando nuovi sistemi per la creazione di cibo: si pensi per esempio alla carne coltivata in laboratorio o alla farina di insetti. Il pugliese Vittorio Bava è proprio uno dei primi promotori, in Italia, della produzione di  farina di insetti. 
Ma perché ricorrere a questi metodi, sottovalutando le grandi potenzialità del  settore primario? L’agricoltura e l’allevamento, infatti, sia in Italia che nel mondo hanno un potenziale elevatissimo. Basti pensare al fatto che l’Italia è ai primi posti nel mondo,  per qualità e quantità, nella produzione di uva, olive,  formaggi e  alcuni tipi di ortaggi. Sicuramente, quindi, il territorio italiano è idoneo a produrre abbastanza cibo per sfamare una notevole quantità di  popolazione. Oltre però a garantire buone quantità di derrate, c’è bisogno di non inquinare durante le varie fasi produttive. La nostra nazione è a buon punto anche su questo: sono sempre di più gli imprenditori del settore primario che preferiscono il metodo biologico a quello convenzionale; si stanno sviluppando nuovi fitofarmaci in grado di svolgere efficacemente la loro funzione e , al tempo stesso, di non nuocere né all’ambiente  né all’uomo.
Sono innumerevoli anche le nuove ipotesi di tecniche produttive che rispettano, in ogni fase, la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi: ci sarà bisogno solo di perfezionarle per applicarle nella realtà. Per l’allevamento, si potrebbe fare molto; dato che gli animali producono troppo metano negli allevamenti intensivi, alloro la soluzione è dar vita e impulso ad un tipo di allevamento non intensivo, che rispetti  gli animali e, contemporaneamente, tuteli l’ambiente e la vita sul pianeta. Negli allevamenti intensivi gli animali sono costretti a vivere in spazi angusti e ad assumere moltissimi farmaci. Se gli animali si allevassero all’aperto e si nutrissero con cibi come erba, fieno o avena, la produzione di gas inquinante si ridurrebbe drasticamente.
Purtroppo oggi in Italia si importano moltissimi cibi dai paesi esteri in cui le norme volte a salvaguardare l’ambiente, la salute animale e soprattutto quella umana, non sono rispettate. Questo sistema, che ha come obiettivo principale il massimo profitto, è dannoso per tutta la collettività.  
La soluzione al problema  quindi ci sarebbe, senza bisogno di ricorrere a metodi troppo rivoluzionari e azzardati: nessuno sa che cosa succede alla salute umana se ci si nutre con carne coltivata in laboratorio o con farina di insetti. Non è accettabile proporre alimenti simili considerando gli esseri umani come cavie su cui fare degli esperimenti, poiché questi cibi non hanno mai fatto parte dell’alimentazione umana. Tutte queste tecniche vanno a sottovalutare le potenzialità del settore primario e del vasto patrimonio naturale che il pianeta ci offre, risultando dannose per tutto il comparto agricolo.
Produrre molto più cibo con i metodi tradizionali, per quanto opportunamente rivisti alla luce delle esigenze attuali,  non è quindi incompatibile con l’impegno imprescindibile di salvare l’ambiente.  E deve essere il nostro obiettivo!

Vincenzo Troia, classe terza

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