Una preziosa testimonianza del ricordo delle Foibe

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Nel Giorno del Ricordo delle Foibe abbiamo raccolto una testimonianza vera e viva, quella di chi ha vissuto sulla sua pelle, per le sue origini, quella tragedia. Abbiamo intervistato la nostra professoressa Danila Fiorella, che ha condiviso con noi un momento intenso della sua storia familiare.

Buongiorno professoressa. La sua famiglia ha vissuto un’esperienza forte, quella delle foibe. Quali ricordi vuole condividere con noi?

Buongiorno! Sin da piccola ho sempre avuto questo ricordo che mi ha accompagnato, cioè il fatto che parte della mia famiglia, tutto il lato materno della mia famiglia non originario di barletta, provenisse da un’area molto lontana da qui. Mia madre si portava dentro di sé questa storia della sua origine, un’origine che nasce in un paesino che si chiama oggi Buje, attualmente in Croazia, invece quando lei è nata, faceva parte dell’Istria, la sua famiglia era in Istria e loro erano italiani. Quindi io ho mantenuto molto forte questa sensazione di appartenere all’Italia, ma senza essere italiano o, viceversa, essere italiana senza essere nata in Italia perché questa parte della mia famiglia ha questa storia molto particolare. Mia nonna era appunto istriana, la sua famiglia era istriana il loro cognome era un cognome istriano: Papovic. Durante il ventennio fascista il suo cognome fu italianizzato e quindi io lo ricordo con Antonietta Papu. Lei è nata in questo paesino dove aveva la casa di famiglia, una casa colonica molto grande, molto bella di cui conservo solo delle foto. Non abbiamo più niente di quel lato familiare. Solo queste foto che mia madre era riuscita a conservare e a tramandare nella sua famiglia; ce le mostrava quando noi eravamo piccoli facendoci proprio vedere come vivevano, com’era felice lei in questa in questa casa colonica della nonna dove viveva con i cugini e con gli zii.
Mia mamma era nata nel 1929, proprio in pieno regime fascista, però loro avevano veramente una vita molto serena; per lo meno questo era quello che percepiva lei da bambina: perché è chiaro che aveva sette anni, sei anni sette anni e mi faceva vedere le bambole di quando era in Istria, dove loro vivevano inizialmente per poi trasferirsi a Trieste. Per esempio mi raccontava di lunghe passeggiate sul molo Audace, che è il molo che si trova proprio davanti a Piazza Unità d’Italia a Trieste, e qui il suo il papà le comprava il cioccolato nel bar. Insomma lei aveva questi ricordi molto sereni della sua infanzia. Ricordi che poi cambiano all’improvviso perché quando arrivano i titini la sua famiglia è costretta a scappare nel giro di una notte. E tutti gli zii, i cugini si disperdono per l’Italia. Infatti da allora lei non ha più avuto dei contatti se non con una cugina che vive ad Ancona. Gli altri avevano trovato varie sistemazioni, chi a Torino, chi a Milano.
Erano scappati via senza niente, non avevano portano via da casa nulla se non l’abbigliamento, con la promessa che ci sarebbe sarebbero tornati di lì a poco… e invece non sono tornati mai più. Questo era rimasto nei ricordi di mia madre.
Un suo ricordo triste era anche quello due cugini più grandi di lei di cui conservava le foto; veramente due foto meravigliose: sembravano due attori degli anni ’30, uno in camicia nera e l’altro, invece in divisa della marina, entrambi sono morti nelle foibe. Furono presi dopo il ’45, quando lei era già lontana da Trieste. Le avevano raccontato il fascismo aveva tutelato in quel momento della loro storia il loro essere italiani rispetto a quanti nel periodo dell’impero austro-ungarico erano invece stati avvantaggiati. C’era questo questa alternanza di vantaggi per un’etnia rispetto all’altra. Ecco, questo è tutto quello che lei ci ha trasmesso attraverso quello foto e i suoi ricordi.

Cosa ha significato per la sua famiglia ricominciare lontano dalle proprie radici?

Mia madre fortunatamente aveva il papà che non era chiaramente istriano, cioè mio nonno era di San Benaglio del Gargano, quindi era pugliese. Si trovava a Barletta perché era vice comandante del presidio al castello; anche lui fu preso prigioniero dopo l’8 settembre. Quindi per mia madre essere metà italiana d’Istria e metà, diciamo, pugliese le ha permesso di ancorarsi alla sua famiglia pugliese e quindi di trovare il “suo qui” in Puglia, dove appunto il nonno l’aveva portata per tenerla lontana dalla guerra. Però tutti gli altri suoi parenti avevano dovuto ricominciare, all’inizio anche nascondendosi e non dichiarando apertamente di essere nati in Istria perché si vergognavano e temevano di non essere accettati: questa storia giuliana degli esuli giuliani non era nota a tutti, e quindi era sicuramente molto faticoso.

Quella delle foibe è una tragedia tenuta nell’oblio generale per anni: lei da professoressa di lettere e figlia di una donna istriana cosa fa, cosa sente di fare per tenere vivo il ricordo?

Io racconto sempre la mia storia, la mia esperienza, e racconto i ricordi di mia madre che, purtroppo, è venuta a mancare già tanti anni fa, forse anche proprio per questo motivo, per onorare la sua storia e la sua memoria. E mi emoziono tutte le volte perché ho queste origini lontane e di una di una realtà diversa. Ho avuto anche la fortuna di avere una seconda nonna, diciamo anche lei triestina, che era la tata di mia madre; da lei ho imparato il triestino e quindi è molto importante per me mantenere questo ricordo, anche se sono nata e cresciuta qui proprio perché è una cosa che non si sa e non si conosce. E quindi senza insomma esaltarla racconto l’emozione di sentire, di vedere queste foto di un mondo che è stato cancellato al domani e non si sa se per motivi politici, per motivi di guerra, per vendette interne, ma è ancora una storia tutta da raccontare, secondo me.

Quindi cosa sente di dire a chi come lo storico Montanari sostiene che il giorno del ricordo sia una falsificazione storica?

Storicamente non sono entrata nel dettaglio, la mia è soprattutto un’emozione familiare quindi diciamo il mio ricordo e la mia storia sono veri e umani ho il sangue che deriva da quell’area: voglio dire che anche i miei caratteri somatici a volte mi rimandano all’area istriana e quindi non posso dire che non è vero perché io vivo qui, perché sono istriana, perché mia madre è stata cacciata dalla sua terra. Se non fosse stato così probabilmente non sarei nemmeno qui in Puglia io, cioè sarei ancora in Istria, sarei forse in Croazia o forse a Trieste, dove poi mia madre si era trasferita intorno ai sette, otto anni. Quindi è una storia vera, anche se poi ci possano essere state falsificazioni storiche successive, documenti non veri, però umanamente è vera io non ho altro da dire se non che esisto.

È mai andata in quel posto per riscoprire le sue radici?

Sono andata a Trieste. Non sono andata in Croazia perché devo dire che ancora non sono forse pronta per andare a vedere quei posti. Me li hanno raccontati. Però a Trieste sì, sono tornata, proprio camminando su quel molo di cui parlava sempre mia madre. È stata veramente questa è una grossissima emozione, molto molto forte. Sento ancora di avere un amore per quelle terre mai espresso e che mostro a fatica perché vi assicuro che non è facile. Appena ne avrò la forza psicologica farò anche un giro a Buje e nell’area croata. Però ancora non ce l’ho fatta.

Grazie professoressa per averci lasciato questa intervista, questa esperienza forte. Ci aiuterà a tenere vivo il ricordo.

Io lo faccio tutti gli anni perché penso che sia un tassello importante nella conoscenza di voi ragazzi.

Grazie

Lorenzo Miani, IV anno

 

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